mercoledì 14 dicembre 2011

IL PADRE DI TIZIANO COCCO:PER LA TOMBA DI MIO FIGLIO HO VENDUTO LA MACCHINA (01/03/2009)

Di Ignazio Pillosu.

C'è ogni giorno un fiore nuovo sulla tomba di Tiziano Cocco, nel cimitero di Samassi. Nella sepoltura dove riposa il giovane camionista trucidato un anno e mezzo fa a Oliena, «i fiori non mancano mai». Parola della madre, Assunta, che posa ogni giorno un omaggio in ricordo del figlio e lo sguardo sulla tomba in pietra rosa terminata da poco. «Per costruirla abbiamo venduto l'automobile di Tiziano», confessa senza vergogna il padre Narciso Cocco che accompagna ogni giorno la moglie in questo rituale, triste pellegrinaggio. Verso quel sepolcro che ora, con le indagini chiuse e i presunti carnefici rinchiusi in carcere, è rimasto l'unico segno a parlare del figlio ucciso.

I KILLER Mauro Giuseppe Fele, Mario Deiana, Sebastiano Pompita, Antonello Boe e Consuelo Loi: ecco l'elenco completo della squadra della morte. I primi tre erano gli indagati subito dopo il delitto, gli altri due sono stati chiamati in causa proprio da Fele (ora pentito) nelle pagine di una lettera spedita ai genitori per chiedere perdono. La chiamata in correità ha spianato la strada degli inquirenti verso l'incriminazione dei due complici e sembra aver chiuso la partita delle indagini ma non, assolutamente, quella del dolore. «Veniamo ogni giorno in cimitero, io e mio marito», conferma Assunta Cocco, «di fronte alla tomba rosa, pagata coi soldi della vendita dell'auto».

LA VETTURA Tiziano Cocco aveva acquistato una Ford Fiesta con i risparmi del lavoro e ora che lui non c'è più, non poteva essere conservata nella casa di via Luigi Onnis dove dal quel 24 ottobre del 2007 sono calate le tenebre. «Abbiamo venduto l'auto di Tiziano per regalare a mio figlio una casa bella almeno da morto». I genitori non lo dicono apertamente, ma senza quei soldi rivestire di pietra rosa il loculo di cemento sarebbe stato, forse, un desiderio impossibile da realizzare. Pensionati entrambi, Narciso e la moglie Assunta non sono infatti quella che si dice una famiglia benestante. Soldi pochi, ma umiltà e modestia (nel senso positivo del termine) a dosi massicce: se queste virtù facessero valore aggiunto, Narciso e Assunta Cocco sarebbero ricchi, ricchissimi. «Ora non ci rimane che questo: venire ogni giorno a pregare per l'anima di Tiziano», dice Narciso Cocco mentre osserva la moglie tagliare i gladioli appena acquistati, prima di sistemarli nei vasi già stracolmi.

IL DOLORE « Nci dd'hanti ghettau in s'aqua pudescia de cussa funtana », dice così, in campidanese stretto, Narciso Cocco mentre sfiora delicatamente con la mano la foto sulla tomba che ritrae Tiziano sorridente sullo sfondo di un mare azzurro. Immagine stridente con il buio del pozzo di Manassuddas dove i carnefici avrebbero gettato il giovane ancora vivo, sopra il cadavere di Pietrina Mastrone, la donna di Oliena che, ipotizzano gli inquirenti, era oggetto dei giochi perversi dei cinque uomini dal cuore di pietra, uccisa e buttata come una bambola vecchia senza più vita.
«L'hanno gettato nell'acqua putrida di quel pozzo», ripete in italiano il padre del giovane camionista, ed è l'unico riferimento agli assassini che Narciso Cocco si concede davanti alla tomba del figlio, nei giorni vissuti in difficile equilibrio tra risentimento, nostalgia e compostezza. Quella con cui Narciso e Assunta Cocco vivono il dramma e che ha scacciato da subito ogni pensiero di farsi giustizia.

NESSUN PERDONO «Cosa avrei dovuto fare?», si interrogava qualche giorno fa Narciso Cocco, che aspetta solo «il corso della giustizia». Per il perdono, chiesto da Mauro Giuseppe Fele nella lettera di quattro mesi fa, «non c'è ancora spazio, non è ancora il tempo». Ora è il tempo del dolore, attorno alla tomba rosa coperta di ciclamini, gladioli e violette del pensiero, e costituita coi soldi dell'auto di Tiziano nel nuovo cimitero di Samassi.
Dal cimitero si vede tra gli alberi la fertile campagna che da Samassi coltivano da maestri. L'ultima immagine che il giovane camionista ha avuto del suo paese prima di partire per un viaggio di lavoro verso il Nuorese. Quel giorno Tiziano Cocco non aveva cenato. «Non ho fame», si era giustificato con la madre, che poi l'aveva svegliato nel cuore della notte. «Figlio mio, alzati, devi andare a lavorare». Tiziano ha preso il camion ed è andato incontro alla morte.
«Se solo avessi saputo, l'avrei lasciato dormire», è il pensiero, struggente, della madre davanti alla tomba di marmo rosa.

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